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È data per ormai certa la prima, grossa novità relativa alla struttura del nuovo Governo. Il Ministero dei Beni Culturali perderà il Turismo, che viaggerà insieme al comparto dell’agroalimentare. C’è una logica, per certi versi, ma ci sono anche dei rischi. La lunga, travagliata storia di un Ministero che non trova forma.
Esordisce così Helga Marsala in un suo pezzo scritto su Artribune.
[/fusion_text][fusion_text]Pochi ne parlano, ma lo stesso Gian Marco Centinaio, ex operatore turistico, responsabile Settore Turismo per la Lega, nominato Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, ha anticipato che col nuovo Governo il Turismo si staccherà dai Beni Culturali, a cui era stato accorpato qualche anno fa, per essere assemblato al suo ministero. Questione di cui il neo Presidente del Consiglio Giuseppe Conte non ha trattato minimamente.
Il Ministero del Turismo e dello spettacolo, istituito con la Legge n. 617 del 31 luglio 1959, dal Governo Segni II, quando fu nominato primo Ministro Umberto Tupini, è stato abrogato con un referendum del 1993, su proposta dei Radicali, con l’82,28% di Sì. Le competenze esclusive in materia, affidate alle Regioni con la riforma costituzionale del 2001 (scelta controversa, dagli esiti non incoraggianti, che il Referendum dell’8 dicembre 2016 voleva correggere) non fecero che svuotare e indebolire ulteriormente quel che restava di quell’organo statale. Così, se nel 1996, col Governo Prodi, l’ormai soppresso Ministero era stato accorpato all’Economia, nel 2008 Berlusconi ne aveva fatto un dipartimento della Presidenza del Consiglio, mentre Letta, Renzi e Gentiloni, coi Ministri Bray e Franceschini, avevano preferito l’unione con i Beni Culturali.
Oggi l’accorpamento col Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha senso?
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