Nel 227 a.C. la Sardegna divenne una Provincia romana governata da un pretore. Iniziò allora la diffusione degli usi e costumi tipicamente romani, della loro lingua, della loro religione e anche dello stile di vita delle classi abbienti. La romanizzazione della Sardegna fu favorita dalla realizzazione di un sistema stradale molto efficiente che attraversava l’Isola. Con l’introduzione del latino la lingua delle popolazioni sarde subì profonde trasformazioni, tanto che, fra le lingue neolatine, il sardo è quella che ne conserva più chiaramente i caratteri.
Per quanto riguarda il culto e le divinità venerate nell’Isola, le zone interne conservarono la religiosità preistorica di ispirazione naturalistica, ma nel resto dell’isola Il culto delle divinità nuragiche fu sostituito da quello per le divinità romane. Probabilmente sopra un Pozzo Sacro dedicato al culto delle Acque presente nelle Terme di Sardara fu edificato un tempio dedicato forse a Giove, Giunone o Diana, in prossimità del quale furono costruite le Thermae. Erano le Aquae Neapolitanae citate dal geografo Tolomeo nell’Itinerario Antoniniano, un registro delle stazioni e delle distanze tra le località poste sulle diverse strade dell’impero romano, datato agli inizi del III secolo. Aquae Neapolitane era indicata lungo la strada che da Othoca (l’odierna Santa Giusta) conduceva a Karalis.
Nell’antica Roma le Thermae svolgevano diverse funzioni, oltre agli impianti per i bagni comprendevano palestre, biblioteche e spazi di riunione e di svago. Attorno al Bagno di Aquae Neapolitanae sorgeva una cittadina la cui importanza è documentata dall’estensione della necropoli romana che si trova attorno al nuraghe Arigau, dalla presenza di due forni per la cottura dei mattoni e da un tratto di strada romana rinvenuta in vicinanza della chiesa di Santa Mariaquas.
Le strutture essenziali delle antiche Thermae romane resistettero al tempo e furono utilizzate per tutto il medioevo. Anche i giudici di Arborea vi si recavano periodicamente e probabilmente avevano un bagno termale riservato alla famiglia giudicale. Nel periodo giudicale il villaggio delle terme si chiamava Villa de Abbas e qui, nel 1336, morì il giudice Ugone II, padre di Mariano IV e nonno di Eleonora d’Arborea.

Nel 1579, in epoca spagnola, Giovanni Francesco Fara nel De Rebus Sardois scriveva che ‘Presso Sardara scaturiscono sorgenti calde e salutari che guariscono varie malattie’.
Nel 1639 Francesco Vico nella ‘Historia general de la isla y reyno de Serdeña’, definiva i bagni di Sardara muy buenos .
I bagni termali di Sardara furono citati dal frate cappuccino Giorgio Aleo nel suo manoscritto ‘Successos generales de la Isla y Reyno de Serdeña’ del 1677.
Dal 1751 in poi in vari carteggi si trovano cenni su personalità che erano state alle terme di Sardara per curarsi. Il 16 maggio di quell’anno il viceré Emanuele scrisse al ministro Bogino: ‘E’ partito giovedì scorso il generale De Roches, per il luogo di Sardara dove si fermerà una ventina di giorni per prendere i bagni.’  Il generale aveva fatto i bagni a Santa Mariaquas, ma si era stabilito a Sardara perché alle terme non c’era alloggio.
Le terme appartenevano al marchese di Quirra che si faceva pagare l’acqua termale, ma non provvedeva alla manutenzione dell’edificio romano che andava in rovina.
Nel 1801 il viceré Carlo Felice invitò don Gioacchino Grondona, amministratore dei beni del marchesato di Quirra, a restaurare i Bagni di Sardara, il podatario gli rispose però che il marchese non era tenuto a somministrare i bagni e che avrebbe provveduto se il governo gli avesse corrisposto le somme spese. Dopo l’abbandono di Torino in seguito all’occupazione dei Francesi, il re aveva ben altri problemi di cui occuparsi.
Dopo un suo viaggio in Sardegna lo scrittore francese Valéry nel 1837 raccontò il suo soggiorno a Sardara e la splendida ospitalità ricevuta. Parlando di Sardara scriveva ‘Sardara deve la sua fama soprattutto alle acque termali, che sono le più frequentate della Sardegna. I ricchi che vogliono fare il bagno con più comodità si fanno portare l’acqua termale al paese di Sardara, nella quantità occorrente, e quell’acqua così trasportata si conserva perfettamente calda, benché ci voglia, a cavallo, mezz’ora e più di cammino.’
Nel 1839 il Comune di Sardara riscattò le terme dal marchese di Quirra pagandole 1610 lire. Nelle casse comunali non c’erano però i soldi per restaurare il Bagno romano e nel 1839 il Consiglio comunale, alla presenza del reverendo Mattia Contini, rettore della parrocchia, deliberò di chiedere un contributo al Governo e di iniziare una questua in tutto il regno affidando l’incarico al romito di Santa Mariaquas, Francesco Comino da Tuili, il quale, dal prodotto della questua, avrebbe tratto il necessario per il vitto e il vestiario. Il frate cominciò la questua, ma senza allontanarsi troppo dalle terme perché il vicario capitolare della diocesi gli aveva fatto capire che non poteva essere permessa una questua non autorizzata dal Governo.
Nel 1846 l’architetto Gaetano Cima predispose il progetto per la costruzione di uno stabilimento termale, ma nonostante le promesse del Governo e della Provincia e le sollecitazioni degli amministratori comunali, del parlamentare sardarese Raimondo Orrù, di suo cognato Giovanni Siotto Pintor, e di Giovanni Battista Tuveri non si trovarono i soldi necessari per realizzarlo.
Il progetto dell’architetto Cima rimase sepolto fra le tante carte della segreteria viceregia sino al 1860, quando fu consegnato al generale sardarese Giovanni Serpi, che lo regalò al Comune di Sardara. Il Consiglio comunale deliberò di cedere alla Provincia le sorgenti, l’area necessaria all’ edificazione del nuovo stabilimento termale e i progetti del Cima. Il Comune si impegnava a contribuire alla spesa totale con 24 mila lire, ottenibili dalla vendita di terreni comunali. Gli amministratori del Comune proposero di ‘far sorgere lo stabilimento nella maggior possibile prossimità all’abitato’. Tale clausola non fu accettata dal Consiglio provinciale e l’accordo svanì.
Nella seduta del 17 maggio 1873 il sindaco don Antonio Diana Casu descriveva il bagno romano: ‘I ruderi di quel crollante fabbricato che tuttora vi esiste, ha da essere inevitabile tomba di tanti infelici che accorsi numerosi vi giacciono stivati che l’un o l’altro resteranno innocenti vittime di quelle rovine, senza pur tacere che alla civilizzazione dei tempi torna indecente, peggio il vivere tuttodì con accomunamento di uomini e di donne non senza manifesta offesa delle leggi del pudore, tuffarsi nella esistente unica vasca, senza punto rinnovarsi l’acqua né aversi riguardo a malattie di sorta.’
Nel 1898 il Consiglio comunale assegnò in concessione per 60 anni le sorgenti, il bagno romano e i terreni comunali all’imprenditore Filippo Birocchi che si impegnò a ricostruire e ampliare il bagno romano, a costruire un nuovo stabilimento termale, il lavatoio e la gualchiera, un edificio per la direzione e un fabbricato per alloggiare 30 fra operai e poveri e a realizzare un canale per bonificare l’area. Dopo i 60 anni tutte le opere realizzate dovevano essere cedute al Comune.
L’edificio, ancora oggi chiamato Bagno romano, fu restituito al Comune di Sardara nel 1958. Negli anni ’80, contestualmente alla realizzazione del Centro Congressi nella Ex Bottiglieria, la struttura fu consolidata. A conclusione dei lavori per la costruzione del nuovo stabilimento termale, nel 1901 fu posta una lapide in marmo con la rappresentazione della planimetria dei resti dell’antico Bagno romano. Nella seguente planimetria il bagno romano corrisponde ai numeri 5-6-7-8 (Calidarium, Tepidarium, Frigidarium e l’abside in cui si ritiene sia stata ritrovata l’antica statua di Santa Mariaquas.