Quanto spazio viene dedicato alla cultura nei programmi dei vari partiti in vista delle elezioni del 25 settembre? Prendendo in considerazione i documenti dei principali partiti, ecco il panorama che ne è emerso.
La cultura, è noto, non è argomento da campagna elettorale. E se non lo è per tradizione in periodi più tranquilli di quello che stiamo vivendo, figuriamoci quanta attenzione le si possa dedicare in una campagna che i partiti hanno dovuto preparare frettolosamente, con giusto un paio di mesi che hanno separato l’inizio dell’agone elettorale dalla data delle elezioni, e nella quale per il momento dominano in gran prevalenza temi legati a logiche di leadership, alleanze, composizioni delle liste, che di certo non possono dire di suscitare gli entusiasmi della stragrande maggioranza delle persone. Si parla poco del posizionamento internazionale dell’Italia, si discute poco o niente di approvvigionamento energetico e di inflazione, men che meno si dibatte di temi che riguardino il lavoro, la ricerca, l’ambiente e il cambiamento climatico, ovvero di questioni che dovrebbero essere in testa all’elenco delle priorità d’un qualsiasi aspirante alla presidenza del consiglio dei ministri: naturale, dunque, che la cultura sia estremamente lontana dalle preoccupazioni dei partiti.
Tuttavia la cultura è spesso percepita come un punto irrinunciabile nei programmi elettorali: è del resto ritenuta uno degli elementi su cui effettivamente si misura la bontà dell’azione di un governo (non foss’altro per il fatto che la cultura distingue l’Italia nel mondo e che, col suo indotto, rappresenta anche un settore economico rilevante), è impensabile per chiunque escluderla dai programmi dato anche il legame che gli italiani hanno con il loro tessuto storico e culturale, e ormai tutti i partiti sono anche consapevoli, quanto meno, del prestigio e del valore aggiunto che la cultura può offrire a un programma elettorale. Sono finiti i tempi in cui un esperto d’economia come Giulio Stumpo, sulle pagine di Engramma, poteva scrivere, all’epoca delle elezioni del 2008, che “la cultura non è in nessuno dei programmi elettorali dei partiti politici del nostro paese”. È accaduto l’inverso: per le elezioni del 25 settembre, ogni partito dedica una sezione del proprio programma alla cultura. Tuttavia, nella maggior parte dei casi sembra di leggere semplici elenchi di desiderata, con punti che il più delle volte non vengono ulteriormente delineati o approfonditi, senza che vengano specificate le strategie per perseguire gli obiettivi oppure le modalità di raggiungimento delle coperture necessarie a sostenere certe scelte: è però comprensibile, dato che i partiti hanno avuto oggettivamente poco tempo per preparare i programmi, dunque si chiuderà un occhio su questo aspetto. In questa sede, per un’analisi sui contenuti dei programmi, sono stati presi in considerazione i partiti che, secondo il Sondaggio BiDiMedia del 19 agosto, a oggi supererebbero lo 0,5% (PD 24,2%, Fratelli d’Italia 24%, Lega 13,6%, Movimento 5 Stelle 10%, Forza Italia 7%, Azione-Italia Viva 5,2%, Alleanza Verdi e Sinistra 3,9%, Italexit 2,4%, +Europa 2,1%, Noi Moderati 1,8%, Alternativa per l’Italia 1%, Impegno Civico 0,9%, Unione Popolare 0,9%, Italia Sovrana e Popolare 0,8%).
IL PROGRAMMA DEL PARTITO DEMOCARITICO
IL PROGRAMMA DEL CENTRO-DESTRA (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e Noi Moderati)
IL PROGRAMMA DEL MOVIMENTO 5 STELLE
IL PROGRAMMA DI AZIONE-ITALIA VIVA
IL PROGRAMMA DI ALLEANZA VERDI E SINISTRA
Infine, tra i partiti che, secondo il sondaggio BiDiMedia, a oggi non supererebbero la soglia di sbarramento, l’unico per il quale è al momento possibile reperire in rete un documento programmatico è Unione Popolare, che sulle 15 pagine di cui si compone il programma propone, per la cultura, un unico punto, ma molto roboante: l’idea di destinare agl’investimenti in cultura almeno l’1% del Pil, finanziando l’aumento di risorse attraverso fiscalità generale e fiscalità di scopo. Fa da contorno alla proposta l’idea di defiscalizzare gli investimenti in cultura.
Al momento, tranne poche eccezioni, mancano dunque visioni e proposte approfondite, e alcuni ambiti del settore della cultura sono stati completamente tralasciati: la parola “archivi”, per esempio, ricorre una sola volta in tutti i programmi messi assieme, la parola “biblioteche” invece appena tre volte, e sempre in passaggi incidentali dove non s’entra nello specifico. Mancano accenni alla situazione complessiva del Ministero della Cultura, in forte affanno per le carenze d’organico, non si parla di alcuni temi urgenti come le esternalizzazioni dei servizi museali, oppure la situazione in cui versa il settore dell’arte contemporanea. Più sentiti invece alcuni temi come quello della partecipazione e della lettura, su cui si registrano spunti interessanti. Occorrerà dunque che chi risulterà vincitore dalle elezioni lavorerà fin da subito per impostare una linea che al momento, anche per ragioni contingenti dettate dalla velocità con cui i partiti debbono lavorare, si fatica a vedere: è questo forse il principale auspicio che ci si può rivolgere in vista della prossima tornata elettorale.
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