Lo studio dei documenti conservati all’Archivio di Stato di Cagliari e all’Archivio della Corona d’Aragona di Barcellona ha consentito la ricostruzione di un periodo, compreso tra il 1323 e il 1492, durante il quale, con l’arrivo dei Catalano-Aragonesi, si insediarono a Castello comunità ebraiche al seguito dell’Infante Alfonso d’Aragona. Il vero quartiere ebraico cagliaritano, che non ha niente del futuro ghetto recintato istituito dal 1516 a Venezia, era in realtà un rione aperto che si formò dal 1344, sviluppatosi intorno a un gruppo di case abitate già dagli ebrei pisani e ubicate fra la Rua dè la Fontana e la Rua dè Orifayn. La Giudaria cagliaritana andò estendendosi nel tempo in tutta la via della Fontana, per risalire fino alle mura difensive di Castello, nelle viuzze laterali, sino ad arrivare, intorno al 1360, da un lato, verso la Torre del Leone, nei pressi della Vicaria Regia, e, dall’altro, sino alla salita che conduceva alla Torre di San Pancrazio. In questo quartiere riservato agli ebrei non rimangono testimonianze “materiali” del loro passaggio, ma lo studio dei documenti permette di ricostruire con attendibilità la loro storia e la vita della comunità ebraica, della aljama, che per due secoli abitò quelle vie. L’aljama cagliaritana toccò il suo apice nella prima metà del ‘400, quando raggiunse 1000-1200 unità, e la Juharia, cioè il loro quartiere, occupava un terzo di Castello. Una delle costruzioni più antiche fu la sinagoga, ma c’era anche la zona dei giardini, delle vigne, delle botteghe, dove si vendeva il vino kasher, e la zona del mercato della carne, la fontana e il forno. L’editto di espulsione, emanato nel 1492 dai re cattolici di Castiglia, costrinse gli ebrei di Cagliari (già da tempo perseguitati con restrizioni e soprusi, come l’obbligo di indossare il segno distintivo: la rotella rossa o gialla) a una sofferenza durissima: l’esilio perpetuo o l’abiura. Molti se ne andarono. I loro averi vennero venduti nelle pubbliche aste. Privati dei loro beni e con l’angoscia nel cuore per il loro futuro, emigrarono verso Istanbul, Tunisi, il regno di Napoli e Livorno. Altri scelsero di restare e si convertirono, continuando ad abitare nelle proprie case e confondendosi, col tempo, col resto della popolazione del Castello.