Palmas Vecchio

Nell’antico borgo di Palmas Vecchio sarà possibile ammirare l’esterno della piccola chiesa campestre intitolata a Santa Maria risalente al 1066. La chiesa come il resto del paese fu abbandonata nei primi anni ‘60 e grazie all’impegno del parroco del paese Don Nicolino Vacca (a cui è dedicata la piazza adiacente) l’edificio fu restituito al culto nel 1996. Nella stesso borgo è possibile visitare i resti di quello che doveva essere il Castello e salendo nel monte di Palmas i resti del Nuraghe e delle Trincee sotteranee e Batterie della II guerra mondiale.

Tra le costruzioni della prima fase dell’architettura romanica in Sardegna si annovera la chiesetta di Santa Maria di Palmas (Località Palmas nei pressi della SS 195, poco dopo il ponte sul rio Palmas.), ricordata per la prima volta nelle fonti documentarie nel 1066, quando il giudice di Càlari Orzocco-Torcotorio I de Lacon-Gunale ne fece dono ai monaci Cassinesi, insieme ad altri cinque titoli, fra i quali la non lontana chiesa di Santa Marta a Villarios. La costruzione dell’edificio si suole ricondurre ai primi decenni dell’XI secolo, probabilmente al primo ventennio. Secondo alcuni studiosi la chiesa sarebbe stata donata nel 1089 ai monaci Vittorini di Marsiglia, ma non tutti sono concordi: l’ipotesi più verosimile è infatti che il titolo ricordato dalle fonti sia da identificare con un monumento omonimo situato nella curatoria del Campidano. La chiesa sulcitana è invece sicuramente quella ricordata sulla porta bronzea dell’abbazia di Montecassino, ove tre formelle dell’anta destra recano inciso l’elenco delle chiese possedute dai Cassinesi durante gli anni dell’abate Oderisio II, tra il 1123 e il 1126. Realizzato in conci calcarei e trachitici, l’edificio è costituito da un’aula mononavata con l’abside rivolta a nordovest e impostata su un basso zoccolo. Il fianco settentrionale è scandito da larghe paraste d’angolo, mentre tre semicolonne suddividono l’abside in specchi asimmetrici, dove si trovano due monofore; la base della semicolonna sinistra, a differenza del resto dell’edificio, è in tufo verdognolo. La facciata a capanna, molto semplice, è conservata nella sua fase romanica fino a circa due terzi dell’altezza, mentre la parte soprastante con il campanile a vela è da ascrivere ad un rimaneggiamento del XVIII secolo, testimoniato anche dal rosone reniforme, così come i filari superiori dei muri perimetrali. Il monumento, dopo l’abbandono del paese trasferito, in altra sede, cadde in rovina sino al 1996 quando venne restituito al culto ed alla collettività, grazie all’impegno di Don Nicolino Vacca, appassionato studioso della storia locale, che tanto si spese per restituire al monumento la dignità storica, architettonica ed artistica.

Castello di Palmas (Località Palmas, svoltare dalla SS 195 all’altezza della chiesa di S. Maria e proseguire per un chilometro circa). Lo spopolamento della costa sulcitana e in particolare della città di Sulci nei secoli dell’alto medioevo portò con sé un incremento significativo della popolazione delle aree che accolsero chi fuggiva dai territori ormai divenuti poco sicuri e tra queste quella in cui si trova l’attuale frazione di Palmas. A partire dal IX secolo, infatti, possediamo l’attestazione della Villa di Palmas di Sols (o Soxo o Sulcio, a seconda delle fonti), che divenne un centro importante prima di decadere intorno alla metà del XV secolo, quando venne abbandonata per essere ripopolata tra il XVIII e il XIX secolo A protezione della Villa di Palmas di Sols era una cinta di mura, di cui rimane qualche traccia, e, incorporato nel suo tracciato, il cosiddetto castello. Non rimane molto di questa struttura, almeno in assenza di indagini archeologiche più approfondite: si conservano infatti i soli resti di una torre tronco-conica in grossi conci di pietra vulcanica, che originariamente si articolava su due piani, per un’altezza originaria tra i 10 e i 12 metri circa e un diametro esterno che si lascia ricostruire per un totale di circa 7,5 metri. Potrebbe trattarsi del castello ricordato da alcune fonti, secondo le quali i Gherardesca gherardiani, cui apparteneva la Villa dopo la fine del giudicato di Càlari nel 1258, fecero erigere una struttura difensiva distrutta nel 1323 dagli Aragonesi, a seguito dello sbarco operato proprio in questa località, nel Golfo di Palmas. Secondo altri studiosi, invece, questa struttura sarebbe stata fatta erigere nell’XI secolo dai giudici di Càlari, mentre esiste un’altra ipotesi secondo la quale l’opera sarebbe stata costruita dagli Aragonesi a difesa della villa dopo il loro sbarco: in mancanza di studi specifici è evidentemente difficile dire quale di queste ipotesi possa essere la più convincente.

Sulla sommità della omonima collina, non lontano dall’antico abitato di Palmas, distrutto nel 1962 a causa delle infiltrazioni provenienti dalla vicina diga di Monte Pranu e ricostruito poco lontano su terreno più salubre, si individua l’imponente Nuraghe Palmas (Località Palmas, svoltare dalla SS 195 all’altezza della chiesa di S. Maria e proseguire per un chilometro circa), presumibilmente di pianta trilobata, anche se la mancanza di regolari indagini scientifiche non consente di spingersi oltre nelle ipotesi. È questo uno dei nuraghi complessi presenti nel territorio di San Giovanni Suergiu, almeno tre per quanto si conosce fino ad oggi: Craminalana, Candelargiu e, appunto, Palmas. Queste importanti strutture, insieme ai numerosi nuraghi monotorre, alle tombe di giganti e ai pozzi sacri conosciuti, costituiscono un’ulteriore, importante riprova della diffusione capillare delle strutture nuragiche anche nelle aree costiere della Sardegna, a sfatare la convinzione invalsa nell’immaginario popolare che i nuraghi siano caratteristici delle aree interne dell’isola. Questo monumento si segnala, inoltre, per la posizione panoramica in cui si trova, dalla quale è possibile godere della vista sui territori di San Giovanni Suergiu e di Tratalias, sul bacino del Rio Palmas (che in antico poteva essere navigabile per qualche chilometro), su tutto l’omonimo Golfo e sulle isole di Sant’Antioco e San Pietro, permettendo al visitatore di toccare con mano i vantaggi della scelta logistica operata dagli architetti nuragici. Il monumento è raggiungibile imboccando la deviazione che dalla SS 195 conduce alla chiesetta romanica di S. Maria di Palmas e percorrendola per poco più di un chilometro.

Il sito di Monte Palmas, come gli altri modesti rilievi costieri del territorio, tornò ad avere importanza durante la seconda Guerra Mondiale. Sul monte sono presenti diverse trincee sotterranee e Batterie della II Guerra Mondiale che è possibile visitare anche dall’interno. Ai suoi piedi correva la linea difensiva (arco di contenimento) affidata ai reparti della 205ª Divisione Costiera del Regio Esercito Italiano. Il sito fu scelto per impiantare ben 2 batterie di artiglieria. La 36ª Batteria, completa di osservatorio, piazzole e camminamenti protetti, era armata con vecchi cannoni Krupp-Ansaldo modello 1906, di calibro 75 millimetri. La batteria apparteneva al XVII Gruppo Artiglieria da Posizione Costiera, inquadrato a sua volta nel 47° Raggruppamento Artiglieria con sede di comando a Carbonia. Per le caratteristiche dei pezzi, il tiro era limitato ad un compito antisbarco, con azione sulle spiagge del settore. Merita assoluta tutela l’osservatorio, ancora dotato di colonnina di punteria in muratura e di alcune incisioni originali, praticate nella feritoia di osservazione. La seconda batteria di Monte Palmas (654ª) apparteneva invece al LXXXV Gruppo batterie della 17ª Legione della Milizia Artiglieria Contraerei (DICAT/MACA) ed era armata con i moderni e ottimi pezzi contraerei da 90/53, capaci di contrastare formazioni nemiche in quota e di effettuare tiri secondari, antisbarco e contro natanti. Il compito della DICAT, nel settore, era di difendere gli impianti del bacino carbonifero grazie a 6 batterie di artiglieria contraerea e diverse batterie di mitragliere da 20 millimetri. Non lontano, a Terra Monsignori, era schierata una ulteriore batteria antisbarco del Regio esercito, la 203ª del LXXXIII Gruppo, armata con cannoni da 149/35. Gli osservatori di servizio erano ubicati su Monte Palmas.

Il caposaldo VIII Avellino di Palmas Vecchia è un monumento storico della seconda Guerra Mondiale. Si articola su 4 casematte in calcestruzzo: la numero 67 per cannone e mitragliatrici (camuffata da caseggiato attiguo alla antica Chiesa); la 68 e la 69 (camuffate da casa) e la postazione 70, probabilmente mascherata da passaggio a livello della linea ferroviaria industriale Pantaleo-Santadi-Porto Botte, attiva tra la fine del XIX secolo e la seconda metà del XX. Sin dal giugno 1940, il XIII Corpo d’Armata (Sardegna) fu incaricato dallo Stato Maggiore del Regio Esercito di studiare i siti idonei a realizzare sistemi fortificati contro sbarchi degli Alleati, a difesa degli approdi, dei centri produttivi e delle vie di facilitazione. Nel Sulcis le principali difese furono concentrate a Sant’Antioco e nella zona dell’arco di contenimento Santa Caterina. Questa linea bloccava le rotabili e le ferrovie che si dipartivano dal Golfo di Palmas in direzione di Carbonia, Siliqua e Teulada-Santadi. La linea difensiva contava circa 90 postazioni in cemento ripartite in 24 capisaldi. Esistevano inoltre fossati anticarro, trincee e reticolati. Ogni caposaldo aveva il compito di resistere a 360° fino all’ultima cartuccia, cioè “anche se circondato o superato dal nemico”. La costruzione avvenne nel 1942-43. Le casematte erano servite dagli uomini del 129° Reggimento (comando a Giba) in forza alla 205ª Divisione Costiera (comando a Carbonia, poi a Iglesias). Immediatamente a tergo della linea difensiva si trovavano numerose batterie di artiglieria, dell’Esercito e della Milizia Artiglieria Contraerei (MACA/DICAT). Monte Palmas, alle spalle del caposaldo VIII, conserva importanti vestigia di queste batterie e dei relativi osservatori. Il compito della linea difensiva era di bloccare azioni di Commando e sbarchi di modesta entità. In caso di uno sbarco nemico in forze, sarebbero giunte per effettuare dei contrattacchi le “forze mobili” e i “gruppi tattici”, che nel settore appartenevano agli organici del 45° Reggimento della divisione “Sabauda” (comando a Iglesias, poi Domusnovas). Le strutture dell’arco di contenimento Santa Caterina si tramandano sostanzialmente integre, rappresentando un ottimo terreno per iniziative di valorizzazione.

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