Oratorio dell’Annunziata

L’Oratorio, che sorse nel castrum medievale a poca distanza dalla basilica di Santa Maria in Vado, come edificio religioso, fu costruito a metà del XIV secolo a fianco di un ospedale per i poveri. Nel 1366 venne istituita in città la Confraternita della Buona Morte, un’istituzione religiosa che aveva il compito di accompagnare al patibolo i condannati a morte con ogni conforto religioso, e di dare degna sepoltura ai criminali assassinati e a chi moriva in povertà e solitudine. La Confraternita aveva perciò un ruolo non solo religioso ma anche sociale e igienico: in un’epoca in cui le epidemie erano frequenti, istituti che tumulassero i numerosi poveri e vagabondi garantivano un minimo di salubrità alla città. Nel 1373, per la Confraternita venne costruito l’oratorio ed è qui che i condannati a morte ricevevano i conforti religiosi. La Confraternita aveva un culto particolare per la Santa Croce, istituito ufficialmente nel 1510 e, pochi anni dopo, ricevette in dono da Isabella d’Este d’Aragona una reliquia del sacro legno. Nel 1547 venne iniziata la decorazione dell’intero piano primo del fabbricato con un ciclo pittorico dedicato proprio alle storie della Vera Croce, realizzato da grandi artisti dell’epoca come il Garofalo, Girolamo da Carpi, Delaì e Rosselli con le loro botteghe. Si può dire che il ciclo sia una vera e propria galleria affrescata, con punte di elevatissima qualità pittorica. Nel 1612, la Confraternita decise di fabbricare una vera e propria chiesa ad aula unica, e perciò venne demolito il solaio di interpiano e realizzata una nuova facciata, molto probabilmente su progetto di Giovanbattista Aleotti. Solo nel 1950 il solaio venne ricostruito in laterocemento, e si ricostituì la visione corretta degli affreschi. Il fabbricato ha subito danni – in parte riparati – a causa del sisma del 2012 e oggi il piano superiore è visitabile solo a gruppi di persone in numero limitato. Dal punto di vista architettonico, l’edificio ha ripreso la sua composizione originaria a due piani, anche se il solaio, ricostruito nel XX secolo, è in laterocemento. La pianta è rettangolare. La ricostruzione ha ripristinato la corretta lettura del manufatto soprattutto dal punto di vista della decorazione pittorica che, nel periodo in cui il fabbricato veniva usato come chiesa, “pendeva” nel vuoto. Attualmente, l’interno è caratterizzato quindi da due piani: il pianterreno non ha elementi di rilievo e l’aula che funge da sala ricreativa, con un palchetto nella parte terminale usato come teatrino, è occupata dai pilastri che reggono il solaio. Le finiture sono spartane, del tutto prive di elementi di rilievo. L’accesso al piano superiore avviene tramite una doppia scalinata costruita nel XX secolo e non vi sono elementi che rendano attraente tutto quello che esula da piano “nobile”, che è il vero fulcro dell’oratorio: non è tanto la scatola muraria a essere importante quanto il ricchissimo apparato pittorico, e anche il solaio ligneo che è a lacunari quadrati, con una luce amplissima e una tessitura molto originale per Ferrara. La facciata, realizzata nel 1621 con ogni probabilità su progetto di Giovanbattista Aleotti, ricorda quella della chiesa di Santa Francesca Romana (praticamente contemporanea) e se da un lato con il timpano triangolare deve un tributo a Palladio, dall’altro con l’ordine gigante di paraste doriche sconfina nel nascente Barocco. Si tratta comunque di un prospetto in cui la scomposizione dei piani è solo accennata, la decorazione quasi assente se si esclude il portale in marmo. Il linguaggio compositivo è aleottiano, come dimostrano le similitudini con la già citata facciata di Santa Francesca Romana e con i più plastici prospetti di San Carlo in Corso Giovecca e del Santuario della Celletta ad Argenta. Tutto il fabbricato è faccia a vista, e la relativa semplicità del complesso si deve probabilmente al fatto che era di pertinenza di una Confraternita. L’intero salone decorato per benevolenza di Isabella d’Aragona con un intero ciclo di affreschi cinquecenteschi, ha subito molti interventi di restauro nel 1835 ad opere del pittore Gregorio Boari e nel 1949 per mano di Mario Paganini. Al di sotto del soffitto a cassettoni, dorato e con vari emblemi di morte, lungo tutte le pareti, inquadrati nelle prospettive architettoniche realizzate nel 1686 da Francesco Scala, si snodano i diversi episodi della Leggenda del Legno della Santissima Croce. Come un racconto scandito in sequenze cinematografiche il programma decorativo, che trae spunto dalla Legenda aurea di Jacopo da Varagine, va dal momento della morte di Adamo, dalla cui bocca nasce l’alberello della futura croce, alla profezia della regina di Saba che appoggia il piede sul legno col quale si costruirà la croce, al ritrovamento della vera croce da parte di Santa Elena, al ringraziamento di Costantino per la vittoria su Massenzio. Gli affreschi, eseguiti dopo la metà del Cinquecento, sono stati attribuiti a Camillo Filippi, al Bastianino, a Nicolò Rosselli e a Giovan Francesco Surchi. Sulla parete di fondo, l’Annunciazione è del Boari mentre nel riquadro sottostante la stupenda Resurrezione, di grande presa emotiva e che ben si adatta al messaggio di conforto che la Confraternita voleva trasmettere ai malati prima e ai condannati a morte poi, è un affresco quattrocentesco attribuito all’anonimo “Maestro G.Z”.

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