Chiesa di Santa Francesca Romana

Nell’Alto Medioevo, la zona di città in cui sorge la chiesa di Santa Francesca Romana era un acquitrino che costeggiava l’alveo del Po, vicino all’Isola di Santo Stefano su cui alla fine del 1200 fu edificato il convento di Sant’Antonio in Polesine. Dopo la rotta di Ficarolo, il ramo “cittadino” del Po progressivamente si interrò, e anche quella che era una golena diventò terreno in cui si iniziò a costruire Ferrara. Nel 1401 il marchese Niccolò III rafforzò la cinta muraria su questo lato del castrum e aprì una via che andava dalla Porta di Sant’Agnese all’attuale Prospettiva che chiude Via XX Settembre (costruita nel XVIII secolo). Su questa strada sorsero ben presto molti palazzi signorili e, in seguito ai dettami del Concilio di Trento (1533) che prevedeva la residenza stabile di un parroco nel quartiere in cui si somministravano i sacramenti, nel 1569 venne iniziata la prima chiesa sul sedime di quella attuale, dedicata a San Benedetto e San Giorgio e chiamata San Giorgino. Ufficialmente chiesa e piccolo monastero annesso ottennero dignità abbaziale nel 1595 (pur rimanendo perpetua dipendenza del monastero olivetano di San Giorgio). Nel 1617, venne acquistata una porzione più consistente dei terreni e fabbricati adiacenti per ampliare chiesa e monastero. Secondo lo Scalabrini l’ampliamento fu affidato all’architetto Alberto Schiatti, che però era morto trent’anni prima: non è chiaro quindi se vennero utilizzati dei suoi disegni o se lo Schiatti in questione era l’omonimo morto nel 1664. D’altro canto, grazie ai suoi numerosissimi interventi post-sisma 1570, Alberto Schiatti era sempre citato nelle cronache relative ai restauri di fine Cinquecento. Più certo è l’intervento di Giovanbattista Aleotti, che disegnò la facciata e il campanile. Lo storico e critico Giorgio Padovani scrisse “Ritornato nella sua declinante Ferrara, l’Aleotti dovette ripiegare sulle consuete, economiche riquadrature per decorare […] la facciata di Santa Francesca Romana (1618-1622). […] I pregi della facciata non vanno oltre una linda semplicità.” La chiesa venne intitolata a Santa Francesca Romana nel 1622, pochi anni dopo la sua canonizzazione avvenuta nel 1608. Nel 1870 l’allora parroco Ernesto Baroni ottenne una cospicua eredità che utilizzò per restaurare e rendere più importante la piccola parrocchia: l’abside venne rinforzata, fu ricostruito il coro e la chiesa fu corredata di cinque altari. Il problema che tuttavia affliggeva l’edificio da molto tempo era l’umidità di risalita e, all’inizio del XX secolo, il piano di calpestio venne risanato e la pavimentazione fu realizzata in parquet come è ancora oggi. Negli anni ’50 l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze intervenne nel restauro dell’altare maggiore e, vent’anni dopo, vennero rifatte le vetrate istoriate dei finestroni. La chiesa di Santa Francesca Romana, dopo l’ampliamento dell’inizio del XVII secolo, si presentava ad aula unica con presbiterio, altare maggiore e coro nell’abside: uno schema che ricorda le chiese per la predicazione che infatti, nel Seicento, sorgono numerosissime. Sono le chiese dei nuovi ordini come i Gesuiti e i Filippini, nate per evitare le distrazioni da parte dei fedeli che dovevano essere concentrati sull’adorazione del divino e sulla penitenza. In seguito al restauro di fine Ottocento, l’immagine della chiesa è cambiata per via dell’aggiunta degli altari che, in mancanza delle navate laterali e delle cappelle, danno movimento alla direzione longitudinale. Tutti i restauri e le aggiunte fatti nei secoli hanno comunque preservato l’equilibrio della composizione, come anche le sistemazioni pittoriche, l’aggiunta del parquet e la sostituzione delle vetrate colorate – interventi relativamente recenti, hanno comunque dato alla chiesa un’immagine semplice dal punto di vista decorativo ma molto ariosa. L’arredo pittorico di Santa Francesca Romana è costituito dalle pale d’altare che ornano gli altari della chiesa. Il primo altare di destra ospita dal 1874 la tela che in origine costituiva la pala dell’altare maggiore: Cristo crocifisso e i patriarchi al Limbo di Ludovico Carracci, probabilmente il dipinto più importante realizzato per Ferrara nella prima metà del Seicento. A colpire lo sguardo dell’osservatore è, ancora oggi, l’espressività che anima i volti e i gesti di tutti i personaggi, rafforzata dal contrasto tra il chiarore e il buio profondo, che Ludovico Carracci utilizza proprio a fini scenici e drammatizzanti. I protagonisti delle restanti opere sono i temi della devozione popolare, di grande attualità nella prima metà del Seicento: nel primo altare di sinistra è una Madonna col Bambino che dà la regola di San Benedetto al beato Bernardo Tolomei di mano di Giacomo Bambini, mentre nel secondo altare a sinistra si trova una Santa Francesca Romana che riceve il Bambin Gesù dalle mani della Vergine dipinta da Camillo Ricci, allievo prediletto dello Scarsellino. La Madonna col Bambino in stile neo-rinascimentale che orna l’ultimo altare è di mano di Scipione Azzi, artista settecentesco operante a Ferrara. A completare l’apparato decorativo della chiesa sono le statue in stucco dei quattro evangelisti, collocate ai lati dell’altare e della navata, dello scultore ferrarese Filippo Porri in collaborazione con il genovese Tommaso Gandolfi.”

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