Il sito di Is Cuccureddus, che sorge su una collina di circa 50 m s.l.m., ospitava le strutture di un fondaco e di un santuario attivo almeno dalla seconda metà del VII sec. a.C. in diretta connessione con lo scalo portuale ubicato presso la foce del Rio Foxi. Il sito era raggiungibile mediante un percorso-scalinata scavato lungo il fianco meridionale del colle.
Le prime indagini nel sito iniziarono negli anni ‘80 attraverso lo scavo di alcuni vani di servizio di un santuario dedicato ad una divinità femminile, identificata con la dea Astarte fenicia e con la successiva Iuno romana.
I reperti di cultura materiale rinvenuti sembrerebbero confermare, sulla scia di una lunga tradizione letteraria, la pratica della prostituzione sacra, documentata per numerosi santuari dedicati ad Astarte e disseminati tra Oriente e Occidente, da Cipro e Kithera sino alla Sicilia e alla Sardegna. Negli ambienti ancora visibili di quest’edificio, sono stati rinvenuti numerosi contenitori di unguenti e balsami profumati (aryballoi e alabastra di produzione greca), terrecotte rappresentanti particolari anatomici come seni femminili e un doccione raffigurante un organo sessuale maschile. Si riconoscono in particolare, nel settore meridionale dell’altura, quattro ambienti di forma rettangolare allineati tra loro, costruiti con pietre non squadrate di varie dimensioni e disposti in senso nord-est /sud- ovest. Secondo le ricostruzioni storiche più accreditate, attorno al 540 a.C. Cuccureddus fu vittima di un’aggressione da parte degli eserciti cartaginesi, con il risultato di un incendio generalizzato che devastò l’insediamento, il quale venne abbandonato e non più abitato sino alla conquista romana della Sardegna. Le tracce dell’aggressione, particolarmente evidenti sul piano archeologico, dimostrano la repentina e brusca interruzione di vita nei livelli relativi alla seconda metà del VI sec. a.C. Durante l’età romana l’area venne rioccupata in maniera stabile e venne rifunzionalizzato il luogo di culto, sempre in relazione ad una divinità femminile. Dopo trent’anni, nel 2017, sono ripresi i lavori di scavo archeologico grazie a finanziamenti comunali e in collaborazione con l’Università degli Studi di Sassari.