Il Museo Casa Deriu in Corso Vittorio Emanuele II n. 59 racconta uno spaccato della vita in una casa nobiliare nel cuore della Città di Bosa. La Casa conserva gli arredi originali, gli spazi destinati alla servitù e la biancheria con i ricami e il filet, vanto delle artigiane di Bosa.
Casa Deriu è uno degli edifici più belli del lato destro del corso, precedente al progetto urbanistico di Pietro Cadolini, risistemata nel 1838, come testimonia la scritta sul lato del portone. Le mostre dei due portoni di facciata, realizzate in trachite rossa lavorata a mano, sono arricchite da trabeazione aggettante e colonne scolpite. L’androne d’ingresso è caratterizzato dalla presenza di tre archi, tipica delle abitazioni bosane. Il primo arco consente l’accesso ai magazzini, il secondo al vano scala e il terzo ha funzione ornamentale.
L’abitazione si sviluppa su tre livelli: le due stanze di maggiori dimensioni con affaccio sul corso. Il primo piano è riservato alle mostre temporanee. Il piano nobile, che era riservato ad abitazione padronale, è un esempio intatto di abitazione ottocentesca per famiglie di ceto elevato, in uso fino a un passato recente con arredi in gran parte originali. L’attuale sistemazione dell’appartamento propone un percorso circolare, a partire dall’ingresso a sinistra del pianerottolo, che consente l’accesso al salotto, comunicante con la camera da letto (con annesso guardaroba). Di qui si passa per una sorta di anticamera, con doppio accesso alla sala da pranzo, da cui si esce nuovamente sul pianerottolo attraverso un breve corridoio ricavato con tramezzi di legno, che costituiscono le pareti dei servizi igienici e di altro ambiente destinato probabilmente alla servitù. Fra gli arredi e le decorazioni sono pregevoli il parquet del salotto, con motivi geometrici ripresi dagli ornati del soffitto a finti cassettoni; il pavimento della camera da letto in maioliche di manifattura campana del XIX secolo, ben armonizzate con la volta dipinta con cornici e vasi di fiori di gusto neo-settecentesco; infine gli ornati Jugendstil della sala da pranzo, ascrivibili al primo decennio del Novecento.
Temporaneamente in mostra al Museo anche 18 opere provenienti dal Convento dei Cappuccini di Bosa e appartenenti al Fondo edifici di culto (Fec). Appena restaurati, sedici dipinti a olio su tela e due statue lignee policrome raffiguranti San Francesco che risalgono al XVIII secolo e sono attribuite ad autori di scuola sarda e sardo-napoletana. Infatti a Bosa, intorno al XVII secolo si assiste all’incontro della tradizione gotico-catalana con le nuove forme del manierismo severo, approssimativamente rinascimentali e classicheggianti che portarono nel 1609 alla fondazione del Convento dei padri cappuccini con l’annessa chiesa dedicata alla Madonna degli Angeli.
La Pinacoteca Atza si trova nel corso Vittorio Emanuele II n. 72 di fronte alla Casa Deriu, nei locali della ex Biblioteca comunale. Al suo interno si trovano le opere donate dal pittore Antonio Atza alla Città di Bosa.
L’esposizione, suddivisa in diverse sale, permette di conoscere il percorso dell’artista dalle primissime esecuzioni realistiche, alla fase surrealista che lo ha consacrato tra i protagonisti del dopoguerra. La pinacoteca costituisce la più significativa esposizione delle opere di Atza con le famose “Sabbie” dipinte alla fine degli anni cinquanta, i “Blues” dei primi anni sessanta e le opere di chiara ispirazione futurista, come l’Autoritratto e i Venditori di brocche che assieme agli “Aquiloni” descrivono la portata culturale della sua innovazione artistica.Il museo permette la conoscenza di un artista annoverato tra i maestri dell’arte sarda del secondo Novecento. I suoi dipinti sono infatti presenti nei principali musei dell’isola e sono ricercati e ambiti dai collezionisti. Uno spazio è dedicato alle opere dei vari artisti con i quali Antonio Atza aveva stretto rapporti di amicizia: Stanis Dessy, Giovanni Thermes e Giovanni Pisano.