Murale S’Unda Manna

Nel paese dei muri dipinti anche la più terribile delle tragedie diventa occasione di arte comunitaria.

Ma come ricordare in chiave di rinascita e speranza sessantotto vittime, trecento abitazioni distrutte, la perdita di enormi quantità di derrate alimentari, assieme a più di cento bovini e duemila pecore? Come incidere nella memoria visiva un messaggio di fiducia che si fonda su lacrime e sangue e sulle macerie di più di due terzi dell’intero abitato?

Guardando a chi il futuro è da sempre chiamato a scriverlo: i bambini.

Nasce così il murale de S’Unda Manna, dipinto dal muralista Angelo Pilloni in via Monastir: una linea azzurra – come l’acqua limpida che dà la vita e non porta più la morte – tracciata dalla mano gioiosa di un bambino, che imprime nel muro e nell’immaginario collettivo l’altezza raggiunta dall’acqua in quella buia notte da fine del mondo. Ai bambini è infatti è riservato il dono di immaginare un futuro anche quando sembra che tutto sia destinato a finire. L’opera, realizzata negli anni ’90, è stata oggetto di un restauro in occasione dei centotrent’anni dall’evento calamitoso, ad opera dello stesso autore che in questa ha inserito il dettaglio vivido delle due testate giornalistiche che, all’epoca dei fatti, trattarono la vicenda: L’Unione Sarda e il New York Times.

Infatti l’eco del piccolo comune del Campidano, fatto di fango e spazzato via dalle acque dei due corsi del Riu Mannu e Flumineddu, varcò non solo il Mediterraneo ma anche l’oceano: già il 24 ottobre la notizia occupava la prima pagina del New York Times, per poi comparire a stretto giro nel Los Angeles Herald, nel The Morning Call, nel New York Tribune, ma anche nelle spagnole El Siglo Futuro e El Isleno, e in Australia nel The Daily Northern Argus, il Leader e il ‘Rock Island Daily, passando dalle principali testate in Svizzera, Germania, Francia, Russia e Argentina.

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