Il Museo del Crudo, situato nella centrale via Roma, è stato realizzato su un lotto ad elle, in precedenza occupato da un’antica abitazione padronale del Seicento interamente costruita in ladiri. L’edificio è costituito da due distinti corpi di fabbrica (per un totale di 13 ambienti) separati da una corte di forma quasi quadrangolare. Una seconda corte, di dimensioni inferiori, è presente sul retro.
Il corpo principale, realizzato su due piani e allineato lungo filo-strada, presenta aperture sui due ordini (quattro finestre al pian terreno e cinque portefinestre con balcone al primo piano). La copertura è realizzata a doppio spiovente con struttura portante a capriate lignee e manto in coppi sardi su incannicciato; i solai di calpestio e delle coperture sono realizzati in legno. La muratura è in terra cruda, con profilature in mattoni cotti, attorno alle bucature; lo spessore dei setti murari non supera i 60 cm. Il mattone crudo, usato per l’innalzamento delle murature portanti era originariamente del tipo realizzato a mano; l’argilla era rossastra, con notevole presenza di inserti di vario tipo: ghiaia, sabbia, legnetti e paglia.
L’unico diaframma tra il mondo esterno e l’intimità della dimora viene garantito da un largo portale ligneo sormontato da un arco semicircolare, che immette su un cortile quadrangolare pavimentato in ciottoli e dotato di un pozzo centrale, preceduto da una piccola loggia sorretta da pilastri. La corte – chiusa ad occidente da un alto muro e ad oriente da un locale di sgombero – è delimitata a nord dal corpo che prospetta alla strada principale, mentre, a sud, un fabbricato lo mette in comunicazione, attraverso un corridoio, con sa pratza ‘e pabasa, di dimensioni inferiori (per questo chiamata anche sa pratziscedda) e forma rettangolare. La struttura che funge da raccordo tra i due cortili consta di due piani comunicanti mediante una scala monumentale centrale (a doppia rampa, dotata di copertura lignea a due spioventi e rivestimento in tegole sarde) che sormonta il portale d’ingresso, incastonato su un arco semicircolare.
Se da questa sommaria descrizione è evidente la ripresa di alcuni elementi costitutivi della tradizionale abitazione campidanese, alcune innovazioni rispetto a questa “architettura senza architetti” ci portano piuttosto al cosiddetto palattu, che si rifaceva ai modelli dell’urbanistica cittadina ottocentesca. Chiari segni di questo ammodernamento – che pur non mutando sostanzialmente la struttura planimetrica della casa, la rende più vicina al gusto cittadino – sono certamente la presenza di un prospetto finestrato, i due piani abitativi e l’intonaco di rivestimento dei mattoni crudi.
Dopo essere stata corpo centrale di un’antica dimora, in seguito all’acquisto da parte dell’amministrazione comunale dall’allora proprietario Giuseppe Piras, con rogito notarile datato 16 aprile 1857, il lotto cambiò destinazione d’uso, assumendo l’importantissima funzione sociale di scuola e municipio. Da un rendiconto di spesa datato al 9 dicembre 1857 si evince che l’impianto strutturale dell’abitazione privata dovesse ricalcare grosso modo quello dell’attuale museo, pur con alcune azioni di restauro per un ammontare di spesa pari a lire 3300.
Da una planimetria datata al 20 dicembre 1940 e da alcune foto d’epoca che ritraggono scolaresche negli anni ’20, risulta che la parte dell’edificio prospiciente alla strada fu adibito ad aule scolastiche (due al pian terreno e due al piano primo), mentre il corpo più interno ospitò il municipio, con archivio, ripostiglio, magazzino e camera di sicurezza al pian terreno, un secondo archivio, e ufficio del sindaco, dell’applicato e del segretario nel piano superiore. La piccola struttura posta sul lato orientale fungeva, invece, da ambulatorio comunale.
Il trasferimento negli anni sessanta delle scuole elementari nello stabile di via Sassari e degli uffici comunali nel nuovo municipio di via Risorgimento, determinò uno stato di abbandono e di conseguente degrado dell’intera struttura. Per far fronte a tale situazione nel 1985 fu redatto un progetto di restauro e riqualificazione affidato all’architetto Roberto Badas e totalmente finanziato dall’Assessorato Regionale alla Pubblica Istruzione, in merito ai contributi da destinare per i musei di enti locali.
Nelle intenzioni degli amministratori, non si sarebbero dovuto trattare, però, di un museo in senso classico, ma di una struttura complessa: una sede operativa per la documentazione e la ricerca (con funzioni di laboratorio permanente), nonché di conservazione, studio e tutela di tutte le testimonianze legate e connesse alla tecnologia della terra cruda. Il progetto però non decollò e, attualmente il museo è utilizzato per mostre estemporanee, convegni e iniziative di carattere culturale.