Museo Multimediale Turcus e Morus – Ex Montegranatico

Il Museo “Turcus e Morus” (Museo delle incursioni barbaresche in Sardegna) fu inaugurato il 29/6/01, nei locali dell’ex Monte Granatico del paese, edificio costruito nei primi anni dell’800. L’esposizione, unica nel suo genere, fu ideata dal giornalista, scrittore e libero ricercatore Gino Camboni, e allestita a cura di due docenti dell’Università di Cagliari (prof.ssa B. Fois e prof. G. Pellegrini). Realizzandola, si intese ovviare all’assoluta assenza di documentazione espositiva, fruibile al grande pubblico, sul plurisecolare incontro-scontro tra la Sardegna e il mondo islamico, che iniziato dopo la caduta di Cartagine in mano araba, espose l’isola alla minaccia e alle continue scorrerie di conquistatori e pirati musulmani. Il museo intende offrirsi come occasione e luogo in cui poter discutere quel difficile passato con distacco e obiettività, e proiettarsi in un futuro multietnico, multirazziale e plurireligioso, raccontando quegli avvenimenti e quelle paure, quegli odi antichi tra cristiani e musulmani contrapposti nella “guerra santa”, e i pregiudizi che ne derivarono.
Il primo allestimento si snodava in quattro aree tematiche: FATTI, UOMINI, NAVI, TORRI, illustrate attraverso 35 grandi pannelli grafici e fotografici disposti attorno a tre modelli filologici: un miliziano o torriere sardo, uno schiavo e un pirata barbaresco. Nel 2012, l’Amministrazione in collaborazione con l’ISEM CNR di Cagliari, si fece promotrice di un completo riassetto del museo in chiave multimedia, ma fedele alla filosofia di partenza: un museo costruito non tanto attorno agli oggetti quanto attorno alle idee. Invece di cose, dunque, grazie ai sofisticati strumenti didascalico-didattici offerti dalle nuove tecnologie si è puntato a presentare suggestioni, ricordi, paure. Così che il museo possa raccontare il passato, farlo rivivere e conoscere ai visitatori, favorendo una loro interazione diretta con le informazioni ricevute.
La scelta di un allestimento tanto particolare cadde su Gonnostramatza, anche se distante dalla costa, a motivo di una rarissima iscrizione in lingua sarda che si trova murata nel presbiterio della chiesa di San Paolo, antica parrocchiale del villaggio scomparso di Serzela, a poco meno di due chilometri dal paese: À V de arbili MDXV / esti istada isfatta / sa vila de Uras de / manus de Turcus e / Morus, effudi capitan / de Morus Barbarossa. (“Il 5 aprile 1515 è stata distrutta la villa di Uras per mano di Turchi e Mori e capitano dei Mori era Barbarossa”).
Con il nome di Turcus e Morus, in sardo vengono tuttora chiamati i pirati barbareschi e in genere le persone di origine araba. A capitanarli, stando all’autore dell’epigrafe, fu il famigerato Khayr ad-Dīn o suo fratello Urūǵ, temibili corsari turchi, di origine greca, entrambi noti con il soprannome di “Barbarossa”. A dipingere o dettare l’epigrafe, che parrebbe un ex voto offerto per scampato pericolo, dovette essere uno degli abitanti dell’antica villa di Uras, venticinque chilometri a sud di Oristano, al quale riuscì di sfuggire all’assalto e rifugiarsi più all’interno, nel villaggio ormai da tempo scomparso di Serzela, presumibilmente accolto da parenti o amici.

Accessibilità

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