Due per cento sì o no: come i Paesi UE hanno risposto all’appello di inserire la cultura nei loro PNRR

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Culture Action Europe, il principale network culturale europeo, ha pubblicato una ricerca nel tentativo di mappare gli interventi rilevanti per la cultura all’interno di tutti i PNRR finora presentati

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Ingranata la marcia, il Recovery Plan europeo entra nel vivo. Sono passati sei mesi dall’approvazione dei primi Piani nazionali di ripresa e resilienza (PNRR) da parte della Commissione europea, il passaggio simbolico che ha visto, a partire da giugno 2021, iniziare la serie di via libera da parte di Bruxelles alle strategie nazionali predisposte dagli Stati per implementare la Recovery and Resilience Facility UE dal valore di 806 miliardi di euro fino al 2026. Sei mesi dopo gli ok preliminari ricevuti dall’esecutivo UE, che hanno reso possibile la richiesta e l’esborso di una quota di prefinanziamento pari fino al 13% del totale cui ciascuno Stato membro ha diritto, molti Paesi – dalla Spagna all’Italia, passando per la Grecia – stanno già presentando istanza o ricevendo l’importo relativo alla prima effettiva tranche del loro PNRR, alla luce degli obiettivi raggiunti entro fine 2021. Insomma, la super-macchina europea del Recovery è in movimento fra le capitali e Bruxelles. E adesso che comincia a delinearsi un quadro più chiaro rispetto allo stato dell’arte dei vari PNRR, i tempi sono sufficientemente maturi anche per valutare che posto ricopre la cultura all’interno dei Piani nazionali di ripresa e resilienza e se il 2% a sostegno della ripresa della cultura tanto auspicato dai settori culturali e creativi UE è stato infine raggiunto. In buona sintesi, più della metà dei Piani prevede espressamente un qualche intervento per la cultura, ma con importanti differenze a livello tematico e di budget. Ciò fa sì che il 2% è stato sì raggiunto, ma soltanto a livello aggregato UE e in una manciata di Paesi membri che fanno meglio degli altri. E impone nuove e più decise iniziative per continuare a sostenere gli operatori della cultura in Europa, oltre l’impianto “infrastrutturale” dello stesso PNRR.

Culture Action Europe (CAE), il principale network culturale europeo, ha condotto un esercizio partecipativo che ha coinvolto tra estate e autunno 2021 la propria variegata membership (network europei, organizzazioni nazionali, soci individuali), nel tentativo di superare le barriere linguistiche del caso e mappare gli interventi rilevanti per la cultura all’interno di tutti i PNRR finora presentati (approvati o in attesa di approvazione) a Bruxelles: sono 26 in tutto (mancano soltanto i Paesi Bassi dove un accordo di governo è stato trovato solo a fine anno). Il risultato è una pubblicazione, presentata a metà dicembre, che mette a sistema le informazioni ricavabili dai testi pubblici dei PNRR e offre una prima misura aggregata a livello UE e per Paese dei finanziamenti disponibili per la cultura, perlomeno ai nastri di partenza della maxi-impresa del Recovery europeo.

Il lavoro condotto da CAE negli scorsi mesi è una diretta prosecuzione della campagna per destinare almeno il 2% di ciascun PNRR alla cultura, una mobilitazione su larga scala che Culture Action Europe ha coordinato, mettendo insieme oltre 110 altri network europei, e facendosi promotrice di due lettere rivolte ai governi degli Stati membri a ottobre 2020 e in seguito a marzo 2021 per chiedere ai Ventisette una piena, ambiziosa e significativa inclusione della cultura nelle strategie nazionali all’epoca in via di elaborazione, soprattutto alla luce dei primissimi dati – come quelli contenuti nel report di E&Y di un anno fa – sul disastroso impatto della pandemia sui settori culturali e creativi, la seconda se non la prima realtà economica colpita dalle imponenti misure restrittive adottate per frenare i contagi, con picchi fino al 90% in meno di fatturato in taluni ambiti, come lo spettacolo dal vivo. L’appello per il 2% è parte integrante della campagna del #CulturalDealEU per un salto di qualità nelle politiche UE per la cultura sviluppata da CAE insieme alla European Cultural Foundation e a Europa Nostra, anche in rappresentanza della European Heritage Alliance, lanciato nel 2020 e che a cui sarà dedicato un nuovo evento online il prossimo 1° febbraio.

La richiesta del 2% è stata sostenuta con convinzione dal Parlamento europeo, che ha inserito la richiesta di destinare almeno il 2% dei PNRR alla cultura nella risoluzione sulla ripresa culturale dell’Europa approvata a larga maggioranza dalla plenaria. Tuttavia, nonostante anche l’appoggio ricevuto in varie occasioni pubbliche da esponenti della Commissione europea tra cui la titolare della Cultura Mariya Gabriel, il 2% è rimasto un indicatore disancorato dalla realtà normativa della Recovery and Resilience Facility, svolgendo (come il 10% per l’istruzione) al massimo una qualche moral suasion rispetto a quei governi già determinati a inserire anche la cultura fra i settori economici interessati dagli investimenti e dalle riforme del proprio PNRR. Le percentuali che hanno superato il braccio di ferro politico al tempo del negoziato sul regolamento istitutivo della Facility, a fine 2020, sono infatti state solo due, e oggi coincidono con gli assi portanti della struttura del Piano UE: almeno il 37% per finanziare interventi a sostegno della transizione ecologica e almeno il 20% per quella digitale.

Vediamo però in concreto alcuni elementi della ricerca. 14 Paesi su 26 (il 53% del totale) hanno previsto a vario titolo interventi esplicitamente a sostegno dei settori culturali e creativi nei loro PNRR, destinando insieme poco meno di 12 miliardi di euro all’obiettivo. Sono quelli che, in linea con la domanda di inserire espressamente la cultura nei PNRR, la ricerca ha preso in esame nell’esercizio di mappatura. Visto che i fondi della Recovery and Resilience Facility effettivamente richiesti dagli Stati membri ammontano ad oggi attorno a poco più di 500 miliardi di euro (circa un terzo in meno del montante totale disponibile, tra sussidi e prestiti agevolati), si può concludere che a livello UE il 2% è stato raggiunto. Tuttavia, da uno sguardo più ravvicinato emerge che appena quattro Paesi si collocano poco sopra o poco sotto questa soglia: sul podio insieme all’Italia – che ha presentato dettagliati interventi esaminati in precedenti analisi di Letture Lente – ci sono anche Francia e Repubblica Ceca, i due Stati che, oltretutto, terranno le redini della presidenza semestrale del Consiglio dell’Unione europea nel corso del 2022. In molti casi, compresi quelli di Parigi e Praga, il PNRR mette insieme fondi Ue con co-finanziamenti nazionali: il mix, quando rilevante, è stato indicato nel testo, ma ai fini del calcolo del budget disponibile per la cultura si è deciso di non scomporre il dato. Una nutrita schiera di Stati membri – dalla Germania al Lussemburgo – ha invece tenuto il supporto ai settori culturali e creativi al di fuori del PNRR: a prima vista potrebbe sembrare una mancanza, ma spesso si tratta di una scelta di politica pubblica che ha semmai previsto strumenti nazionali paralleli e dedicati espressamente agli operatori dell’ecosistema culturale.

Il budget è però solo una delle possibili chiavi di lettura. La pubblicazione di Culture Action Europa prova anche a elencare i vari tipi di interventi (investimenti o riforme) dedicati alla cultura nei 14 PNRR rilevanti. La Recovery and Resilience Facility UE conferma ampiamente il suo impianto di Piano infrastrutturale (tante le azioni di efficientemente energetico e miglioramento della connettività dei luoghi della cultura, oltre che il restauro di ampie fette di patrimonio e agevolazioni alle industrie culturali e creative). In questo senso, la ricognizione dei 14 PNRR presi in esame offre pochi esempi di misure che mettano al centro le persone (benché stiamo parlando della componente principale della strategia Next Generation EU). Ci provano Repubblica Ceca e Spagna, che tra le riforme inseriscono l’adozione e l’esecuzione di uno Statuto dell’Artista. Lo stesso, purtroppo, non fa l’Italia, nonostante la parallela azione parlamentare su questo stesso tema. La Francia è l’unica a prevedere un sostegno economico alla creazione contemporanea, mentre l’Italia è la sola a dettagliare un ambizioso piano di rigenerazione a base culturale, che è poi una delle cifre principali degli interventi dedicati alla cultura nel PNRR del nostro Paese (uno dei pochissimi a esplicitare la destinazione culturale già nel titolo di una Missione).

Cosa succede adesso? L’esecuzione dei PNRR è solo agli inizi; bisognerà monitorare a livello locale e nazionale come le azioni saranno effettivamente implementate. Il quadro tracciato dalla ricerca offre però già qualche spunto di riflessione: il sostegno economico – con il 2% raggiunto a livello UE solo grazie alla performance di una manciata di Paese – non è sufficiente. Nuove misure vanno previste anche nei bilanci nazionali, come già avviene in taluni Paesi, per garantire un supporto omogeneo e uniforme ai settori culturali e creativi in tutta l’Unione ed evitare crescenti divari in particolare geografici; una precondizione essenziale per far ripartire anche una decisa cooperazione culturale a livello UE e tutelare la diversità culturale nel continente. In secondo luogo, nuovi stanziamenti finanziari vanno accompagnati sul piano regolatorio da nuove norme per meglio tutelare gli operatori della cultura nell’UE. In questo senso, è promettente ed è complementare rispetto a quanto può avvenire con in fondi dei PNRR, il lavoro parallelo sulla creazione di una cornice europea sulle condizioni di lavoro nei settori culturali e creativi, rilanciata da un rapporto di iniziativa del Parlamento europeo e al momento incardinata anche in un metodo aperto di coordinamento nel Consiglio. C’è bisogno di ribilanciare anche le ricette politiche, e non solo i bilanci: uno sguardo a ciò che c’è e ciò che manca nelle strutture dei PNRR può contribuire al senso di urgenza perché il prossimo Piano di lavoro per la cultura del Consiglio dell’UE (che sarà adottato a fine 2022 e coprirà il periodo 2023/2026) mantenga puntati i riflettori sulla creazione di uno Statuto europeo dell’artista e del lavoratore culturale, a partire anche dalle diverse iniziative già realizzate in alcuni Paesi membri.

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