Quanto conta la nostra cultura?

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DAI PROGETTI DI MAPPATURA AI FILONI DI RICERCA PIÙ INNOVATIVI

[/fusion_title][fusion_text]”Le iniziative culturali che tengono conto dell’economia, del management, del controllo di gestione sembrano mondi lontani anni luce dal mondo culturale, ma in realtà sono parametri che dentro la cultura farebbero davvero la differenza”. Questo è un concetto che il Presidente di Imago Mundi, Fabrizio Frongia, espresse già in occasione del primo convegno internazionale “Patrimonio culturale. Comunità di storie – Modelli, esperienze e strumenti”.

In effetti oggi sono in tanti i paesi che hanno provato a “mappare” il mondo delle industrie creative e culturali e a quantificarne l’impatto in termini di occupazione o contributo al PIL.

Nello scenario attuale, cultura e creatività vengono sempre più identificate come fattori di innovazione, crescita e sviluppo, per imprese e territori. Motivare l’investimento in questi asset – particolarmente significativi per l’Italia – resta però complesso a causa delle sfide concettuali e metodologiche che la misurazione del loro valore e dei loro impatti comporta. Con il riconoscimento della cultura quale settore economico negli anni ’90, da allora si è registrata una domanda crescente di metriche e metodologie di valutazione degli impatti socioeconomici dei cosidetti “settori culturali e creativi”. Tale domanda ha interessato enti governativi a tutti i livelli, che vedono nella cultura e nella creatività degli asset con cui uscire fuori dalla crisi e ripensare le economie moderne, ma anche l’accademia e centri di ricerca, che stanno avanzando approcci innovativi in materia. (Elaborato ripreso dal rapporto “Io Sono Cultura 2018” della Fondazione Symbola-Unioncamere)

 

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